Giugno 2025

Una testimonianza: ascoltare e dare parola

Sono stata all’Hospice il 17 marzo. Quel pomeriggio volevo solo sapere se davvero, come mi avevano detto in ospedale, Maria era stata portata all’Hospice. Speravo che si fossero sbagliati: a volte, quando si fatica ad accettare una realtà, la mente si figura gli scenari più assurdi. Quella parola “hospice” suonava come condanna irrevocabile e l’immagine suscitata in me era quella di un inghiottitoio oscuro. Ecco perché camminavo riluttante nello splendido parco di san Martino, un mondo a parte, dentro la città e al tempo stesso lontano dalla sua materialità: la sua bellezza era già di buon auspicio.  Ho atteso qualche minuto in un piccolo atrio inaspettatamente colorato e luminoso, affacciandomi ai due piccoli corridoi laterali: niente che ricordasse corsie anonime, nessun sentore di ospedale. Un’operatrice ha risposto alla mia domanda e, dopo aver chiesto, credo, un’autorizzazione, mi ha detto sorridendo di salire pure a trovare Maria. Chissà perché, per un attimo mi sono sentita impreparata, non lo nego, a quello che pensavo fosse il buio dell’attesa della morte. E invece.sì, Maria era nel letto di una stanza chiara, ed era lucida e incline a parlare: della sua vita, dei suoi pensieri, della sua “stanchezza esistenziale”, di tanto altro. Sono rimasta forse un’ora, con un imprevisto senso di tranquillità. Sono entrate donne sorridenti: un’operatrice le ha portato un budino alla vaniglia (Maria era golosa!) e l’ha imboccata con dolcezza; un’infermiera (forse) si è fermata un poco ad ascoltare, mi ha detto che la mattina anche loro avevano parlato molto e mi ha incoraggiato a fermarmi. All’uscita l’ho cercata: giustamente ferma nel non darmi dettagli sulle condizioni cliniche in quanto solo conoscente di Maria, mi ha trasmesso la sicurezza di un accompagnamento sereno non di una “paziente” ma di una “persona” nel momento più cruciale della sua vita, sempre e comunque da “vivere” pienamente nel rispetto della sua dignità. E così quando, qualche giorno dopo, il letto di Maria era vuoto, ho saputo dire solo “grazie, davvero” al sorriso lieve dell’infermiera. Serenità, sorriso, vita… .mi sembravano termini inappropriati al luogo così come me lo ero immaginato: eppure, uscendo da una vera casa ricca di luce e immersa nella natura, mi è rimasta la sensazione che si possa mantenere il calore della vita in ogni momento della nostra esistenza.

Un’amica di Maria