Aprile 2024

Solitudine: domande per riconoscerla
Riflessioni di Gisella Introzzi

Riflessioni a partire dal webinar “Solitudine sociale: una malattia del futuro?” organizzato dalla Federazione Cure Palliative

 

Cos’è la solitudine? quando “si è” soli e quando “ci si sente” soli? Qual è la differenza? La malattia provoca solitudine? Ci fa sentire più soli? La solitudine può essere causa dell’insorgenza di importanti malattie? Chi è più colpito dalla solitudine? Si può misurare il senso della solitudine? Quanto l’isolamento sociale è “obiettivo” e quanto invece costituisce un fenomeno “percepito”?

Queste sono alcune delle riflessioni al centro dell’introduzione di Stefano Cappa (docente di Neurologia a Pavia) intervenuto al webinar proposto dalla Federazione Cure Palliative dedicato al tema.

Interrogativi che sono oggetto di un’attività di ricerca che indaga su cosa succede nel nostro cervello in presenza dello stato psicologico che percepiamo come solitudine.

E poiché chi fa ricerca riesce a misurare tutto, abbiamo anche una “scala della solitudine” che ci segnala che il senso della solitudine, intesa come esperienza emotiva percepita, è più frequente nei giovani, nelle persone single e vedove/i, fra chi sta molto male.

Come non pensare a quanto il cambiamento delle condizioni sociali influisce su queste categorie, con i fenomeni demografici che stanno determinando trasformazioni profonde: una popolazione sempre più in avanti con gli anni e con una base che si assottiglia; gruppi familiari che, anche se uniti da legami affettivi importanti, si disperdono su ambiti territoriali distanti; le condizioni sempre più critiche e a rischio in cui versa la preziosa sanità pubblica che abbiamo saputo costruire nel recente passato?

Per non dire della profonda insicurezza generata nei giovani dall’isolamento sperimentato negli anni del Covid e dall’incertezza che si associa alle loro prospettive di futuro.

È possibile tentare di costruire risposte ai rischi che la solitudine percepita comporta?

Ho trovato interessante la riflessione su come un fattore che può presentarsi inizialmente solo come una forma di disagio possa trasformarsi in qualcosa di cronico:

un episodio che ci fa sentire non accettati genera una sensazione negativa; il fatto si ripete; si attivano reazioni nel cervello e nel corpo che inducono maggiore attenzione a quanto avviene attorno; si dorme meno e meno bene; ciò può condurci anche ad una distorsione di ciò che avviene attorno a noi: più suscettibili, più sospettosi, più diffidenti; il disagio a questo punto diventa uno stato cronico…

Ed è la cronicizzazione di quel disagio iniziale che ci espone ad un potenziale percorso di rischio di malattia, con uno stato permanente di attivazione del cervello che può provocare anche alterazioni fisiche (ipertensione, caduta delle difese immunitarie, …, più alto rischio di Alzheimer in età avanzata).

Il messaggio per noi (come individui e come soggetti collettivi) riguarda l’importanza di saper riconoscere le persone che si trovano in elevato stato di solitudine (altrettanto importante che riconoscere chi si trova in condizioni di depressione). La solitudine è un processo: si può interromperlo, indispensabile però è riconoscerlo.

Lettura consigliata : John Cacioppo – La solitudine – L’essere umano e il bisogno dell’altro – Il Saggiatore

Qui il LINK AL WEBINAR

Gisella Introzzi